Indennizzo anche per vaccinazione non obbligatoria

In questo periodo storico pandemico le istituzioni mirano a perseguire il fine supremo di tutela della salute pubblica, attraverso atti che raccomandano fortemente la vaccinazione anti Covid-19.

La raccomandazione alla vaccinazione risulta efficace in virtù del naturale affidamento dei singoli riguardo alle indicazioni delle autorità sanitarie nazionali e della comprensione dei vaccini nei livelli essenziali di assistenza gratuita del SSN.

Già anni fa con la vaccinazione contro l’epatite A si era perseguito l’obiettivo di necessaria immunizzazione, con toni di forte incentivazione per i singoli.

Oggi si assiste però ad una consistente astensione alla vaccinazione anti Covid-19, per buona parte legata al timore di:

  • complicanze irreversibili legate al vaccino,
  • di non avere diritto, di conseguenza, all’indennizzo in quanto trattasi di vaccinazione non obbligatoria.

Può essere utile rammentare che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione legislativa dell’art. 1, co. 1, L.210/1992, nella parte in cui non prevedeva l’indennizzo, a seguito di menomazioni permanenti derivanti da pratiche vaccinali, non obbligatorie ma raccomandate (sent. n.118/2020).

Il diritto all’indennizzo deriva infatti dalle specifiche campagne informative svolte da autorità sanitarie e mirate alla tutela della salute, non solo individuale, ma anche collettiva, senza alcuna differenza sostanziale tra obbligo e raccomandazione.

In presenza di una campagna a favore del trattamento vaccinale è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie.

Questo spinge l’individuo ad  aderire anche per salvaguardare l’interesse collettivo, oltre alle particolari motivazioni che muovono il singolo.

Viene così ribadito dalla Corte Costituzionale la necessaria traslazione in capo alla collettività degli effetti dannosi che da queste vaccinazioni eventualmente conseguano al singolo.

E’ dunque imposto alla collettività l’adempimento di un dovere di solidarietà.

Ne deriva una tutela indennitaria che ripaghi a spese di “tutti” un danno subito nell’interesse di “tutti”, per menomazione permanente dell’integrità psico-fisica a seguito del trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato), effettuato nell’interesse della collettività stessa.

La corte costituzionale aveva anche affermato già nel dicembre 2017 che la collettività deve sostenere i costi del pregiudizio individuale, anche nel caso in cui la menomazione permanente sia derivata dalla vaccinazione antinfluenzale volontaria, sulla base dei principi costituzionali:

  • di solidarietà (art. 2 Cost.),
  • di tutela della salute anche collettiva (art. 32 Cost.),
  • di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

Non è ammissibile dunque che il singolo si faccia carico delle conseguenze negative derivanti da un trattamento sanitario effettuato soprattutto nell’interesse dell’intera collettività.

Verrebbe peraltro violato il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché determinerebbe un’irragionevole differenza di trattamento tra:

  • coloro che si sono sottoposti a vaccinazione in osservanza di un obbligo giuridico,
  • coloro che hanno aderito alle raccomandazioni delle autorità sanitarie.

L’applicazione del trattamento vaccinale è infatti volto alla tutela sia della dimensione individuale che collettiva della salute:

  •  limitando l’eventuale contagio fra i soggetti,
  • contribuendo anche alla protezione di coloro che non possono ricorrere alla vaccinazione a causa della propria specifica condizione di salute.

Il diritto all’indennizzo (che prescinde dalla colpa) sorge a fronte del solo accertamento della menomazione irreversibile conseguente al vaccino, legato al dovere di solidarietà che incombe sull’intera collettività, e al beneficio tratto in termini di raggiungimento della massima copertura vaccinale.

 

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